L'altro giorno siamo andati a fare un giro a piedi sull'appennino modenese, nelle vicinanze di Fanano. Sono tanti i motivi per cui sento la necessità di fare un'escursione ogni tanto: mi piace camminare lentamente, mi piace stare in mezzo agli alberi, mi piace scoprire posti che con un'auto e un po' di fretta non avrei mai scoperto.
Ma la cosa che amo di più dell'appennino sono le case abbandonate. Non ti so dire perché il mio cuore si senta in pace con se stesso quando vedo una casa abbandonata, quando vedo le pareti costruite di semplici pietre appoggiate una sull'altra senza nessuna calce in mezzo, quando vedo i tronchi levigati che servivano da travi, quando capisco la logica dei pochi spazi di quelle abitazioni montanare.
Siamo stati in un borgo vicino a Fanano che si chiama Le Caselle. Il posto è stato abbandonato nel dopoguerra ma non mi importa, cioè non mi importa la vera storia che c'è dietro a Le Caselle, la storia economica della zona, l'emigrazione, le frane... In quel momento, invece di fare un pensiero socio-economico sullo spopolamento dell'appennino ho pensato a questo: che le case abbandonate sono proprio come i vecchi.
I vecchi arrivano in fondo alla loro vita e si siedono su una sedia a guardare la gente che passa. Sono ormai i resti di una vita lunga e piena di storie e aneddoti che noi non sapremo mai. Si siedono lì e non pretendono di essere belli, nemmeno di essere utili. A volte sono un po' ingombranti per il resto della famiglia ma in realtà, nella maggior parte dei casi, i vecchi non chiedono nulla se non vederti passare. Eppure, come ben saprai, molti di loro finiscono nelle case di riposo, troviamo imbarazzante il loro contatto con la nostra vita, abbiamo il terrore di diventare proprio così. Facciamo di tutto per non invecchiare, ormai si sa, sto dicendo una banalità.
Per Le Caselle e per tutte le case abbandonate è la stessa cosa. Sono pezzi di storia lasciati lì al loro destino, sono muri fermi e immobili da decenni che guardano le persone che passano, che raccontano loro una piccolissima parte della loro vita.
In quel momento ho cominciato a fantastica come al mio solito e ho pensato: perché non ridare dignità a questo luogo, ristrutturarlo tutto, farci un sito turistico in cui in ogni casa c'è una bottega di un artigiano. Verrebbero mostrati ai turisti la bottega di un fabbro, di un falegname, un forno che fa i prodotti di una volta e così via. Guardare al passato in chiave moderna e turistica.
Ma è questo dare dignità a un luogo abbandonato?
Mentre giravamo per il borgo, mia moglie ha messo la mano sullo stipite in legno di una finestra e mi ha detto: "Stavo pensando a quante volte le persone di questa casa hanno appoggiato la mano su questa finestra". In quel momento mi sono sentito un po' stupido e irrispettoso verso quegli abitanti di montagna e ho capito che il modo migliore per dare dignità a quel luogo è lasciarlo stare, aspettare che il tempo passi e corroda le travi e faccia crollare i muri. Ascoltare quello che le pietre e gli stipiti hanno da dire finché sono ancora in piedi per dirlo. E poi, quando è ora, lasciarli andare.
Senza demolizioni, senza ricostruzioni, accettare che il tempo passi e che invecchi le cose.
Almeno credo.
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